

LOCKDOWN, DAD E MATURITÀ dal punto di vista degli studenti.
Mercoledì 4 Marzo mattina: si parla della chiusura delle scuole per un periodo indeterminato. Inizialmente le notizie sono inaffidabili, nulla di certo e tante interpretazioni diverse che si sovrappongono, d’altronde la situazione è rimasta cosi durante tutta l’emergenza. Allora penso di non decidere se esserne felice o meno, e attendo notizie ufficiali.
Mercoledì 4 Marzo pomeriggio: La ministra dell’istruzione Azzolina annuncia la chiusura delle scuole fino a metà Marzo. Sull’autobus Courmayeur-Aosta in ritorno da una giornata lunga a scuola, il silenzio determinato dall’esasperazione che tutti noi provavamo per il solito ritardo, si tramuta in esaltazione generale per la scoperta di aver finalmente ricevuto una meritata pausa da questi stancanti viaggi che intraprendiamo ogni giorno. Come si prevede da qualsiasi studente a cui si comunica che non deve più andare a scuola, la maggior parte di noi esulta e si pregusta l’idea delle giornate che si potranno passare davanti a Netflix o in giro con gli amici. Gli unici esclusi da questo coro siamo noi, quelli di quinta. Prevedo subito che il tutto non si risolverà nel giro di una paio di settimane, e capisco che si prospetta davanti un periodo non facile.
La situazione si evolve velocemente, e in pochi giorni ci ritroviamo davanti a un computer a seguire le lezioni dei professori, dalle quali i più fortunati riescono a captare ogni parola, mentre quelli con la connessione meno scarsa devono accontentarsi di comprendere l’idea generale. C’è ancora la speranza di riuscire a tornare tra i banchi prima della fine dell’anno, per riuscire a prepararsi come dovuto per il tanto atteso esame di stato, e soprattutto vivere quei momenti che chiunque dei nostri genitori o fratelli maggiori può raccontarci con un sorriso in faccia, e talvolta una lacrima sulla guancia. Con questa idea in mente, continuiamo a seguire le lezioni e cerchiamo di fare del nostro meglio, anche se tra una lezione e l’altra non c’è l’intervallo nel corridoio ma solo un muro bianco dietro lo schermo del computer chiuso. Di positivo c’è che adesso possiamo portare il caffè in classe, senza rischiare di essere rimproverati.
Oltre alle lezioni e alle videochiamate con gli amici, le giornate non sono stimolanti, e per la prima volta vediamo privati della nostra libertà. Si comincia a parlare di droni e di app per controllare il rispetto delle norme da parte della popolazione, e la situazione non può che ricordarmi il Big Brother di George Orwell. Per fortuna si decide di fare affidamento al tanto encomiato, soprattutto dal nostro preside, buon senso del cittadino. Sia sulla gestione dello studio in autonomia che nel rispetto delle regole per la prevenzione della diffusione del Coronavirus. Noi ragazzi siamo giovani, e di conseguenza ci adattiamo velocemente alle novità e ai cambiamenti, quindi eseguiamo la maggior parte dei compiti assegnati e non ci opponiamo a nessuna restrizione.
I giorni passano e la fine dell’anno si avvicina, ormai è sicuro che non avremo più la possibilità di sentire la campanella del nostro ultimo giorno di scuola, e un po’ di rabbia e frustrazione siamo tutti obbligati a provarla, ma non siamo noi quelli che stanno veramente soffrendo di questa emergenza, e per ciò dobbiamo farcene una ragione.
Ora siamo al presente, finalmente si può uscire e purtroppo, mi accorgo che le regole non sono rispettate a sufficienza, e capisco perché il nostro preside insiste sempre sull’accrescere il nostro buon senso e giudizio. Purtroppo talvolta le persone si comportano bene soltanto se sottoposte a controlli, e per questo motivo a mio avviso è necessario rivoluzionare il sistema scolastico ponendo più fiducia nei ragazzi e creando cosi dei cittadini in grado di sapere scegliere autonomamente e ragionevolmente come comportarsi.
Elena Risini
5A LLC
Giugno 2020